Elegia per una signora è una proposta di “Teatro domestico”. Un atto unico che può essere rappresentato in case o locali -in una situazione ravvicinata- quasi un ‘aperitivo teatrale’.

“Ha qualcosa per una donna che sta morendo?”, chiede l’uomo. Lui -senza nome- è appena entrato in un negozio e lei -senza nome- l’accoglie. Un cliente e una commessa. La premessa basta per predisporre gli spettatori a fiutare sorprese e tranelli.

Elegia per una signora è un testo “cinematografico”. Somiglia più alla sceneggiatura d’un film che ad un testo per la messa in scena su un palcoscenico. In più tutto si svolgerà tutto in presa diretta, senza nessun salto temporale e nello spazio angusto di un negozietto di oggettistica e regali. Qualsiasi congegno simbolico o metaforico è inesistente. Si può avere insomma la netta sensazione di assistere a qualcosa dove siamo come degli intrusi, degli ‘spioni’. Capiamo vagamente che si conoscono o si comportano come se si conoscessero…

Elegia per una signora ci lascia, fra le tante riflessioni, una che ci tocca di sicuro. Tutte le storie d’amore a fronte di una crisi finiscono in rottura. Vi sono delle eccezioni, certo. Rare però, molto rare.

Perché una storia d’amore finisce? Da qualche parte emerge, irrompe o si insinua una crisi, di uno o di entrambi, acuta o confusa. Miller ci propone questo impossibile, questo inconcepibile: la decisione condivisa d’immergersi senza scampo nella crisi, di non abbandonarla, anzi, di abitarla, senza se e senza ma, fino in fondo.

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